
Vi manca il mio ferro? Sentite nostalgia del mio tocco?
Venite a trovarmi su: http://iononperdonoetocco.wordpress.com/
non vi fa scattare tutto l’immaginario che vi riporta alla maestra della scuola elementare vero?
Eppure, al pari delle api, e forse ancor di più, perché diversamente da queste non sono accudite e curate dagli apicoltori, questi insetti utili sono minacciati da una serie di fattori quali l’eliminazione dei loro posti di nidificazione, la rarefazione delle piante che forniscono nettare e polline, malattie, parassiti ma la minaccia più grande è rappresentata dallo spargimento dei pesticidi.
In Italia le specie di apoidei 25 anni fa erano circa 950, un censimento effettuato tra il 1997 e il 2003, nell'ambito del progetto AMA (Api Miele Ambiente) a cui ha partecipato, tra gli altri istituti di apicoltura a livello universitario, anche quello dell'Università di Bologna, ne ha ritrovate solo il 37%. In una trentina di anni, solo nel nostro Paese sono scomparse quasi 600 specie di apoidei.
Uno studio pubblicato dall’autorevole rivista inglese Science (luglio 2006) rivela che in Gran Bretagna si è avuta un perdita del 52% delle api selvatiche e in Olanda del 67%.
Questi insetti infatti posseggono pochi geni di disintossicazione, come è stato confermato dalla recente pubblicazione della sequenza del genoma dell’ape domestica.
http://lescienze.espresso.repubblica.it/articolo/Il_genoma_dell_ape_domestica/1286724
Se vogliamo metterla su un piano molto concreto, morti gli “Apoidei”, a parte evidenti difficoltà su come dare i primi rudimenti di educazione sessuale ai nostri figli (l’esempio classico dell’ape e del fiore andrebbe a farsi benedire) si perderebbe il 35 percento degli alimenti destinati all’alimentazione umana. Questo dato è stato tratto da uno studio internazionale fatto in 200 paesi su 115 tra le colture più importanti. Non moriremmo certamente di fame, frumento, mais e riso non sarebbero toccati, ma si aggraverebbe la profonda crisi internazionale generata dalla concomitanza di cause, che è ben sintetizzata nelle parole di Rob Hopkins:
“L’economia globale fronteggia una crisi tripla. Si tratta della combinazione della crisi finanziaria globale, del processo di cambiamento climatico e della crescita dei prezzi dell’energia prodotta dal picco della produzione petrolifera. Questi tre eventi si sovrappongono con il rischio di diventare una “tempesta perfetta”, di quelle che non sono più state sperimentate dai tempi della Grande Depressione.”
Per saperne di più:
http://transitionculture.org/2008/07/21/the-green-new-deal-is-launched-today/
Rilancio questa notizia ferragostana perché è quantomeno bizzarra, con tutti i problemi che ha questo Paese il Governo si preoccupa di coloro che fanno i massaggi in spiaggia. Forse perché chi li pratica è nella quasi totalità dei casi un extracomunitario che cerca di sbarcare il lunario. Fonte.
La questione vera pare che sia quella di lanciare un "messaggio" non di contrastare il "massaggio"
Il Tg1 ha appena dato la notizia che il Ministero del Welfare ha proibito per tutta l’estate i massaggi in spiaggia
Il Sottosegretario
La maggior parte dei bagnanti che ricorre ai massaggi immagino sappia entrambe le cose, cioè che il signore (o la signora) che propone il massaggio probabilmente fino a qualche mese prima faceva tutt’altro e che la spiaggia non è un luogo asettico. Ma, a fronte di queste considerazioni, pensa anche che le conseguenze negative di un massaggio fatto da un incompetente all’aria aperta siano in ogni caso piuttosto limitate. Nel servizio del Tg è apparso anche un medico che diceva che chi ha le vene varicose, in caso di massaggio molto forte, può anche svenire. Sarà forse per questo che l'ordinanza sarà pubblicata con la massima urgenza sulla Gazzetta ufficiale, come ha aggiunto il Sottosegretario Martini.
Qualche dubbio mi resta. I massaggi sul lungomare o comunque in un luogo diverso dalla spiaggia sono consentiti? E perchè la proibizione si limita all'estate? E, soprattutto, era veramente così urgente e indispensabile regolamentare anche i massaggi in spiaggia?
Cari lettori, ho deciso di dare una mano ad una amico che si è messo a fare l’avvocato difensore. Non ha una laurea in legge e ambizione di arricchirsi, diversamente avrebbe difeso uno basso e pelato, cercando di tirare per le lunghe.
Lui ha una laurea in Scienze Agrarie, un passato da ricercatore, un presente da imprenditore, un sacco di diplomi e riconoscimenti appesi alle pareti e difende gli insetti. Non tutti gli insetti, perché, diciamolo, l’ordine dei “Ditteri”, al quale appartengono mosche e zanzare è veramente indifendibile!
Il mio amico Angelo, questo è il suo nome, è “l’Angelo difensore” di alcuni insetti che appartengono all’ordine degli “Imenotteri”, ma anche qui non tutti, di alcuni imenotteri che appartengono al sott’ordine degli “Apocriti” (niente a che fare con la politica di oggi o con una scuola filosofica greca del passato) e, anche in questo caso, mica tutti gli “Apocriti”, il mio amico è uno preciso …
Insomma per farla breve tra i tanti “Apocriti” che ci sono il mio amico
A questo punto potrei dirvi che la superfamiglia degli apoidei si divide in 9 famiglie che si chiamano … ma corro il rischio che qualcuno mi mandi a cagare, e poi arrivino i “ditteri”, sottordine: brachiceri, infraordine: muscomorfi, superfamiglia: muscoidea, famiglia: muscidae, genere: musca, specie: mosca domestica, ma quelle abbiamo deciso di tenerle lontane!
Quindi preferisco, per i precisini, lasciare questo “link” http://it.wikipedia.org/wiki/Apoidea così si fanno una ragione di come va il giro del fumo e non secco tutti gli altri.
A differenza degli avvocati del “Nano” che, s’è detto, tirano per le lunghe, Angelo e altri come lui hanno fretta perché hanno a che fare con una strage che potrebbe toccare tutti noi, ve la racconterò in 4 post:
La Storia
Le vittime
I colpevoli
Amici e nemici
… nelle prossime settimane per non seccarvi troppo e dare un po’ di suspense alla narrazione.
Si tratta non solo di regolamentare nuovamente il mercato finanziario e fiscale ma anche di attuare un enorme programma di trasformazione volto a ridurre sostanzialmente l’uso di combustibili fossili e, nel frattempo, volto ad affrontare la disoccupazione e il calo della domanda causata dalla crisi finanziaria.
Questo programma di trasformazione comporta nuove politiche e nuovi meccanismi di finanziamento che ridurranno le emissioni e ci permetteranno di fronteggiare meglio le future carenze energetiche causate dal picco del petrolio. Il New Deal Verde è una reazione alla crisi finanziaria e alla crescente crisi alimentare ed energetica, nonché alla mancanza di un’azione congiunta e globale da parte dei politici.
Il New Deal Verde richiede:
Per far questo tuttavia devo fare una piccola notazione sul “paesaggio” salendo dal sud a nord da Dakar verso il confine con la Mauritania, nei pressi del quale si trova il villaggio di Ndiawdoune dove insiste il nostro progetto, la vegetazione cambia, i campi coltivati interrotti dai maestosi baobab si fanno più radi, così come gli alberi che si riducono in quantità ed in dimensione, quasi a voler comunicare la “fatica” di vivere con poca acqua.
Il terreno si copre di una sabbia polverosa e di sterpaglia, sotto i rari alberi che presentano una taglia sufficiente si riuniscono le persone e gli animali.
Una città con i viali
La percezione dell’Africa cambia seduti al tavolino di un bar su un fresco viale alberato. È proprio cosi, non ci credete dopo aver letto fino a qui, ma a metà viaggio ci fermiamo nella città di Thiès circa 500.000 abitanti, giardini pubblici e un fresco viale alberato, come dice la canzone “another world is possible…..”
L’incontro con il Presidente della Comunità Rurale
Gli uomini sono tutti uguali, i politici … anche. Arrivati nella comunità rurale di Gandon ci riceve il Presidente nel suo ufficio con l’aria condizionata. Sono tutti molti deferenti con lui, inizia il gioco di sguardi per capire chi deve entrare per primo nel suo ufficio. Esaurito il cerimoniale il Presidente si lamenta di non essere stato tenuto puntualmente informato su quello che accade al “villaggio con l’irrigazione”, è vero, i funzionari locali dell’ONG CISV che seguono il progetto fanno pubblica ammenda, ma la circostanza è resa ancora più d’attualità dalle prossime elezioni locali che si terranno nella primavera 2009.
Anche qui come da noi si stanno preparando a sparare tutte le “cartucce elettorali”. Se è vero che l’informazione è una risorsa, nel nostro caso per riprendere la metafora è “polvere da sparo”.
Al villaggio di Ndiawdoune
Arriviamo al villaggio, povere case ma dignitose, costruite in prevalenza con mattoni di cemento al termine di una pista che si imbocca a lato della strada statale. Posteggiamo sotto un albero, proprio davanti all’unico negozio. Mi dicono che anche questo non c’era e che è nato dopo l’insediamento del progetto. Se pensate che il commercio (di ogni cosa) è una delle attività più praticate dai senegalesi, vi potete ben immaginare quanto povero dovesse essere il tenore di vita di un villaggio di 300 abitanti senza neppure un negozio.
Quello che mi ha colpito più di tutto è stato lo sguardo di Mawlouda Fall, la presidentessa dell’impresa femminile nata col progetto, è lei che ci ha accolto assieme agli uomini al nostro arrivo, è lei che portava le notizie migliori, anche se non poteva indossare la “corona del trionfo”.
Il progetto “Keur Daba” ha ormai concluso il suo secondo anno di attività e anche quest’anno il raccolto agricolo non ha dato i frutti sperati. Gli uomini del villaggio sono riusciti, come nella stagione precedente, a restituire il prestito ottenuto per le sementi, i concimi, ecc … ma non hanno realizzato il guadagno sperato. Hanno infatti dovuto lottare contro i capricci del tempo e la decisione di altri uomini che regolano la portata del fiume Senegal. Il rilascio di acqua dalle chiuse a monte è stato così scarso da costringerli a scavare una “trincea” in modo tale che un po’ d’acqua potesse filtrare dal letto del fiume fino al punto di pescaggio della pompa installata con il progetto. L’acqua tuttavia filtrava lentamente e la pompa ha potuto funzionare solo ad intermittenza, non consentendo un’irrigazione ottimale delle colture. In quel momento erano in pieno sviluppo due coltivazioni, quella delle cipolle, nei terreni di nuovo impianto in cui si è allargato il progetto e quella delle arachidi, dove nell’anno precedente erano state coltivate le cipolle. E’ stato allora che si è dovuto prendere la difficile decisione di abbandonare una delle due colture per riuscire, con la poca acqua disponibile, a portare a termine l’altra. Si è dunque optato per salvare le arachidi.
Le donne di Ndiawdoune nel primo anno di progetto hanno affiancato gli uomini nelle colture dei campi, mentre nel secondo anno sono state coinvolte in un’attività specifica. In un primo tempo si era pensato a dei pollai attigui alle abitazioni, ad integrazione del reddito familiare (in po’ come facevano un tempo le nostre nonne), invece loro, vincendo anche le titubanze dei tecnici locali del CISV, che temevano per le malattie, hanno optato per il “lavoro di squadra”, mettendo insieme le risorse e costruendo un pollaio collettivo che può ospitare fino a 600 animali. Concrete e prudenti hanno comperato 250 pulcini che, a 45 giorni, una volta ingrassati, sono stati venduti con grande successo (questa notizia è arrivata persino al Presidente della Comunità Rurale, quello che si lamentava di non avere notizie). Al nostro arrivo a Ndiawdoune il pollaio era di nuovo libero, perfettamente pulito, con la lettiera già predisposta per accogliere un infornata di altri 250 pulcini da tirar grandi e rivendere al mercato. Ancora 250 pulcini e non 500 o più come consentirebbe la capienza del pollaio perché “sono donne è meglio andarci piano”, come direbbe un uomo di qui (e non solo forse), ancora 250 e non di più, perché andiamo incontro alla stagione delle piogge e non voglio “cattive sorprese” a causa delle malattie, dice la Presidentessa.
Saint Louis
Saint Louis, un milione di abitanti, è la città più vicina al villaggio di Ndiawdoune costruita sul delta del fiume Senegal, il suo nome la dice lunga del suo passato coloniale. Di quei tempi rimangono ancora vecchi palazzi ormai in rovina, quando non sono stati acquistati da società, quasi mai senegalesi per farne alberghi per portafogli, quasi mai senegalesi, e un lungo ponte in ferro a più arcate che rappresenta la porta d’accesso alla città.Il ponte, nella parte centrale, era girevole, per permettere il passaggio delle imbarcazioni più grandi e la loro risalita del fiume. Mi dicono che lo è ancora, ma mi permetto di dubitarne, visto che la ruggine ha conquistato ogni centimetro quadrato del manufatto, corrodendolo, in alcuni punti fino in profondità.
Ho molte immagini ancora negli occhi di Saint Louis e molti racconti, ve ne restituisco solo sue per mantener fede all’impegno di parlare solo delle cose che hanno attinenza con il progetto: le povere case, alla periferia della città, dove le donne puliscono ed affumicano il pesce; un girone dantesco di puzza e fuliggine ma che non doveva essere molto diverso da quello di qualche decina di anni fa quando anche sulla sponde dei laghi insubrici si preparavano i Misultitt o Misoltini e il racconto dei “disperati” che in piccoli gruppi eludono la sorveglianza congiunta delle marine senegalese, spagnola e italiana per riunirsi di notte, al largo, nei viaggi della speranza (o forse sarebbe meglio dire della disperazione) All’ insegna di un motto che in lingua Wolof “A Barça ou a Barsakh” “A Barcellona o all’inferno”
A Dakar
Tornati a Dakar ci toccano i giri ufficiali, quelli con giacca e cravatta, mi sento un “trofeo” vestito da matrimonio (o da funerale, lascio a voi decidere). Si comincia con l’ufficio cooperazione dell’Ambasciata d’Italia, che qui in Senegal ha competenza anche per Capo Verde, Gambia, Guinea, Guinea-Bissau, Mali e Mauritania. Parliamo con il direttore, molto gentile e colloquiale, del più e del meno, ma da qui, solo immaginare il villaggio di Ndiawdoune è come cercare di vedere i microbi senza il microscopio. Godiamo un’oretta di aria condizionata e ci lasciamo con l’impegno di “tenerci informati”
Nel pomeriggio siamo al “Ministero per
Il Ministro è perfettamente vestito “all’occidentale”, ci accoglie in modo garbato e affabile, ci dice che anche lui è della regione di Saint Louis nella quale si trova il villaggio del nostro progetto, anche la sua segretaria è di quelle parti …. una riunione in famiglia insomma! Scherzi a parte ci parla del programma di autosufficienza alimentare lanciato dal suo Paese e sostiene che è proprio dalle regioni nelle quali stiamo lavorando che si aspettano, con una migliore gestione delle acque del fiume Senegal, un importante contributo. Non ci perdiamo in tante chiacchiere, la riunione è breve, il taglio è pragmatico, il Ministro ci assicura il suo appoggio nel caso incontrassimo delle difficoltà, per raggiungerlo basterà affidarsi alla sua segretaria per la quale, parole del Ministro, “oltre che un dovere è un onore poter essere utile ai suoi villaggi d’origine”.
La Senatrice
Martedì parto alle 17,30 per onorare l’invito a cena ricevuto dalla senatrice Ngone Ndoye il giorno del nostro arrivo, Donatella la mia collega con esperienze africane “getta la spugna” dopo una giornata passata sotto il sole a picco. A me tocca …, come dice lei, sono “il capo”.
Per arrivare a casa della Senatrice la strada è intasata e il nostro taxi “rattoppato” lascia la via principale e s’impegna in una gimcana tra cumuli di pattume, ferraglie e materiali vari che ricordano tantissimo il luogo nel quale erano riuniti i rottami delle navi spaziali nella serie “Guerre stellari”. Dopo un’ora e venti di questo “sbattimento” giungiamo al luogo dell’ appuntamento, lì troviamo il mullah-segretario della Senatrice, cambiamo macchina e continuiamo il viaggio.
Giunti a destinazione sono ormai le 19,15, la Senatrice non c’è ancora, ci fanno accomodare in un salotto quasi buio, accendono il ventilatore da parete e
La Senatrice è una donna affascinante, molto alta e lineamenti del viso raffinati, gli anni e i quattro figli avuti quando era ancora molto giovane ne hanno un poco appesantito la figura ma si muove elegantemente, avvolta nei suoi abiti di foggia africana.
La conversazione è amabile e vince la mia stanchezza. Oltre ad essere senatrice Madame Ndoye è anche sindaco di una delle più grandi municipalità di Dakar, (quasi un milione di abitanti) che amministra da vicino: conosce a memoria il numero degli alunni nelle varie scuole, sa quante sono le moschee, le grandi moschee, le chiese, le sinagoghe, conosce il numero e i problemi dei pescatori, sa quante sono le piroghe che ogni giorno prendono il mare per recarsi a pesca, ecc… La sola cosa che confessa di non sapere è la superficie del suo comune, perché, confessa, i confini non sono ancora stati chiaramente definiti.
La Senatrice insiste sulla necessità che i politici siano i primi a dare il buon esempio e, per chiarire il concetto racconta che in Senegal parlamentari e alti funzionari per ragioni di prestigio legate alla loro carica hanno il diritto di viaggiare in aereo in business class. Se, fino al fallimento di air Senegal, questo poteva avere un senso perché trasferiva risorse dallo Stato alla compagnia di bandiera, ora il “prestigio senegalese” va ad ingrassare a caro prezzo Air France. Lei ci dice dunque di aver deciso di optare per la classe economica, almeno per i voli africani.
M.me Ndoye racconta che domani testimonierà a favore di una campagna a favore del contenimento delle nascite; il mullah inizia a guardarla torvo. Lei se ne accorge e “aggiusta il tiro”: non si tratta di contenere le nascite ma di ritardare la nascita del primo figlio e frapporre un maggior lasso di tempo tra un figlio e l’altro (se non è contenimento delle nascite questo!!! J) , il mullah “abbocca, sorride felice e si rimette a rosicchiare con i suoi dentini piccoli.
La cena scorre leggera, ci servono un pesce locale, il “Thiof”, una specie di branzino, che solo io mangio con le posate; mi spiegano che è tradizione succhiare ogni lisca, quando si mangia il Thiof. Seguono una serie di complimenti da parte di tutti per il per pesce, splendidamente cucinato da un ristoratore locale, nel cui mezzo la senatrice si alza facendomi il grande onore di offrirmi un pezzo del suo Thiof. Abbozzo una difesa, poi capisco che non posso rifiutare (un po’ come nel nostro Sud), allora mi arrendo docile. A quel punto la Senatrice stacca un grosso pezzo del suo pesce torcendogli la spina dorsale e lo depone nel mio piatto.
Da qui in poi la cena si fa in salita: l’enorme Thiof, con il “bonus Senatoriale”, i commensali che, una volta rotto il ghiaccio, cominciano a parlare in Wolof (una delle lingue locali), il caldo umido, il “terrore” per una bevanda analcolica con ghiaccio che, a queste latitudini, è sempre a rischio dissenteria, fanno il resto.
Intorno a mezzanotte vengo caricato con gli altri ospiti sul potente Suv della Senatrice, il suo autista si dirige spedito verso il centro della città. Leggo il quadrante dell’auto, la temperatura esterna è di 28,5 gradi, quella interna è regolata su 17,5. Capisco che è questa l’ultima prova che devo affrontare nella giornata. All’una, finalmente, è finita.
Ringraziamenti
A Donatella che la più africana degli italiani che io conosca, se quando è a casa sembra che 5 anni di Angola, Burundi, Repubblica Democratica del Congo, non l’abbiano cambiata più di tanto dovete vederla in azione “sul campo”.
A Ussu il più europeo degli africani che abbia mai incontrato, a volte perfino con una venatura di pignoleria svizzera, andare al mercato con lui è un piacere, si finge indifferenza mentre lui contratta per voi, a lui devo i miei sandali, comodissimi. Chissà se mi aiuteranno a mettere in pratica quel proverbio indiano che dice più o meno: ogni volta che vuoi giudicare qualcuno, cammina prima per tre lune nei suoi mocassini.
Ti piace ogni tanto sperimentare la cucina etnica? Credi che un ristorante giapponese sia sempre un ristorante giapponese? Sai quante sono le cucine cinesi e quale è quella che mette in pratica il ristorante sotto casa? Conosci qualche cosa della cucina africana o quella del Sudamerica?
Ebbene per la rubrica “Promo
Il primo appuntamento con la cucina del Senegal è offerto dagli amici dell’associazione “Dabafrica” che cucineranno per noi piatti come fataya, bissap, cuos cous o riso con carne e verdure, banane fritte si svolgerà sabato 28 giugno presso gli impianti sportivi del comune di Masera (VB)
Il secondo invece è con la cucina sudamericana, in particolare con quella dell’Equador sarà preparato per noi dal servizio di ristorazione gestito dai detenuti del carcere di Verbania “Gattabuia” presso Villa Olimpia Sabato 19 luglio alle ore 20
Ti aspetto, è scoppiata l’estate, esci dal guscio “lumacone”!
E alla fine è giunto il momento di lasciare lo sport agonistico. Lo faccio senza rimpianti, felice per le ultime stagioni che ho passato a Stresa, ma anche consapevole che è meglio tagliare di netto, lasciando un buon ricordo che trascinarsi per il parquet come un monito sull’età con il numero 5.
Gioco a basket da quando avevo 12 anni, ne ho 50, credo si essermelo guadagnato il diritto alla “pensione”.
Per favore non chiedetemi di fare l’allenatore, l’ho fatto a 18 anni, allenando la prima squadra femminile della mia città e ho combinato solo “casini”, mi sono scottato non solo le mani ma anche i piedi e la testa, ma ho imparato a “lavorare” con l’universo femminile e questa esperienza mi è servita durante tutto l’arco della mia vita professionale e ancora mi è utile.
Poi ho allenato per pagarmi l’Università, un’esperienza entusiasmante! Ho seguito i ragazzi di una cittadina industriale, senza altro polo di attrazione che un incrocio brulicante di macchine tra due strade statali e li ho portati da non capire nulla di basket e perdere tutte le partite (contro la prima in classifica
Tanto meno chiedetemi di fare l’arbitro. Non riesco a giudicare le cose e i fatti, riflettendoci sopra, figuratevi in una frazione di secondo. Certo spesso esprimo il mio parere: “fallo”, “passi”, ecc… ma è il mio punto di vista e non una sentenza!
E a proposito di arbitri lasciatemi dire la mia su una questione ancora fresca, risale solo a qualche settimana fa, ma che non ha finito di bruciarmi. Il primo fallo tecnico della mia carriera. Sicuramente era ingiustificato, dato da un arbitro che ha iniziato a dirigere “sopra le righe” che voleva vivere una serata da protagonista (poteva anche tirare dei sassi alle lampadine o pisciare nei serbatoi delle macchine, ci sono tanti modi per fare i protagonisti deteriori) che accortosi di aver punito eccessivamente gli avversari in una precedente occasione, si è sfogato riequilibrando i conti col primo “pirla” che passava dalle sue parti. Il problema è che quel “pirla” ha il senso dell’autorità, anche in campo, e se un’ “autorità” si degrada, anche semplicemente in un campo da basket, vi è una scissione tra il concetto di autorità e quello di autorevolezza e ne subisce un danno d’immagine tutto il “senso dell’autorità” in generale.
Veniamo dunque ai ringraziamenti che cercherò di contenere il più possibile per non cadere nel patetico.
Grazie a Daniele, infaticabile lavoratore in campo e fuori, senza di lui non ci sarebbe
Grazie a Claudio, lui si veramente inossidabile, da quando abbiamo smesso di “menarci” agli allenamenti il nostro rapporto è migliorato, meglio piantare le piantine nell’orto che i lividi.
Grazie a Marco che mi segue da Genova, dove vive per lavoro e, respirando l’aria del porto, gli sta venendo il braccino corto: mi ha scritto che se smetto di giocare vuole vendere le azioni della squadra, per paura di un loro deprezzamento. Tienile care Marco, sono “azioni” affettive non costano nulla e offrono i loro dividendi anche se sei in fondo alla classifica.
Grazie a tutti, per la pazienza, per le palle perse, i passaggi mancati, i tiri di troppo. Ma non me ne vado fuori dalle balle, smetto di indossare la maglia gialla col numero 5, ci vediamo quest’estate al campetto.
M5Anche la politica ha i suoi orticelli, siamo il Paese in Europa che conta il maggior numero di comuni 1951 erano 7.810, mezzo secolo più tardi risultano 8.101, di cui 45 con meno di 100 abitanti.
In Piemonte non scherziamo affatto potendone “vantare” 1206 anche se non possiamo fregiarci del comune con meno abitanti d’Italia (32) che invece è in provincia di Sondrio. Per avere un’idea della consistenza dei comuni in Piemonte basta dare un’occhiata qui.
Qualcuno mi dirà che la storia, la cultura, le tradizioni, ecc.. ecc… ma mentre le banche per poter reggere la trasformazione dei mercati si accorpo, si fondono, si acquistano, si annettono, i comuni non fanno nulla per rendere a i propri cittadini servizi migliori e più competitivi … tanto loro non sono sul mercato!
Abito in un piccolo comune sulla sponda orientale del Lago Maggiore, una roba dignitosa, mica un comune “polvere”, qualcosina più di 2300 abitanti, tutti i comuni della fascia rivierasca del lago sono disegnati con la mobilità di una volta, quella dei piedi, tagliati a spicchio, dalla montagna in giù. Un modo di spostarsi sparito a fine ottocento! Uno di questi per raggiungere la sua frazione montana, attorno ai
Volendo andare a piedi, con buone scarpe e altrettanto buoni polmoni sono solo poco più di
Per un approfondimento sotto il profilo socio-economico- politico dell’Italia degli 8000 Comuni vi consiglio questo articolo apparso sul periodico on line la voce lo scorso 18 aprile.
Vediamo se c’è qualcuno che indovina quale è il comune portato nell’esempio!
Venite pure avanti ... io non perdono e tocco!
Se avete degli amici o parenti che si dedicano all'orto saprete senz’altro che ci sono almeno due momenti dell’anno nei quali sono sopraffatti da irrefrenabili pulsioni di generosità. Il fenomeno si scatena, di solito, in primavera e in estate avanzata.
Il primo attacco di solito coincide con il periodo in cui le verdure, dopo aver sofferto il gelo per tutto l’inverno hanno una “crisi mistica” e decidono improvvisamente di assurgere al cielo. Crescono in altezza e non in dimensioni e così vanno in “canna”, cioè a seme. Voi vi aspettate che le cicorie (finalmente) facciano la loro bella palla rossa, dopo aver stentato per tutta la stagione fredda e invece quelle si allungano e si preparano a mettere il loro pennacchio di semi. L’ortolano reagisce immediatamente alla circostanza e, prima che le insalate diventino impresentabili, le rifila a tutti quelli che conosce.
Quest’anno posso vantarmi di aver “depurato” i miei suoceri da tutte le scorie invernali a furia di cicoria cotta. A loro è piaciuta moltissimo e anche io mi sono sentito “più buono”.
Solitamente nel mio orto io metto a dimora tre piantine di meloni e due di cetrioli (non posso arrischiarmi a metterne una sola, se per caso fallisce mi tocca vivere dei cetrioli dei vicini, umiliante). Ai veri amici offro il melone agli altri rifilo i cetrioli, siete avvisati!
Scherzi a parte c’è un motivo serio per cui io non gradisco i cetrioli dei vicini e mi azzardo a regalare i miei cetrioli, perché io in realtà non coltivo i cetrioli ma i “Tortarelli”. Sono una varietà particolare di cetrioli coltivati tra l’Abruzzo e la Puglia che hanno la particolarità di essere meno acquosi di quelli tradizionali ma soprattutto di essere più digeribili e quindi di non “riproporsi” a distanza di qualche ora dal pasto, come avviene spesso per molti frutti della famiglia delle curcubitacee.
Dice Padre Alex Zanotelli che noi “votiamo ogni volta che facciamo la spesa” e credo proprio che abbia ragione.
Le grandi catene distributive fanno a gara per rilasciare le tessere a punti e da qualche tempo perfino le cassiere (opportunamente istruite) facendo sfoggio di cortesia chiedono ai cliente se hanno la carta fedeltà. In realtà dietro la “fiera degli sconti” si nasconde la “profilazione del consumo”, la caccia all’”identikit del compratore”.
La tessera a punti è un vantaggio che diamo alla grande distribuzione rispetto al quale gli sconti non sono che un minimo ritorno.
Occorre riappropriarci di un nuovo modo di consumare, che non potrà sostituire ma quantomeno affiancare quello dell’ipermercato. Occorre costruire un modello di consumo che sia una sorta di “governo ombra” del nostro portafoglio.
"Votiamo" dunque, secondo l’efficace immagine di Zanotelli anche attraverso un canale parallelo che è quello del consumo critico, della rete dei G.A.S., della scoperta dei piccoli produttori, della spesa a km zero e, quando ci saranno dappertutto, acquistando nei farmer markets.
Chi può impari a coltivare l’orto, chi non ha il ter
Nella mia città ci sono stati fino a poco tempo fa e in parte ci sono ancora, sul greto del torrente delle zone “terra di nessuno” dove vige la legge del più forte che si è recintato uno spazio e da anni ci coltiva il proprio orto, senza averne alcun diritto, semplicemente perché nessuno interviene. Queste opportunità vanno socializzate, regolamentate, organizzate, è con questa politica del “fare”, facendolo bene che si conquista il consenso dei cittadini.
Dopo la “batosta elettorale” interessante articolo di Jacopo Fo apparso sul sito “Criticamente” invita a costruirsi concretamente “pezzi di mondo migliore” e cita l’esperienza dei micro orti nati in Cile negli anni ’70 in ambienti cattolici dopo che la sinistra venne spazzata via dal regime.
Sul tema dell'orto, civico o no, pubblico o privato, aspettatevi altri interventi, è un tema che mi appassiona, spero possa interessare anche voi. Vale la pena di tentare nuove strade, ribaltiamo il motto degli anni ’60, passiamo da “La fantasia al potere” a “La fantasia contro il potere”